venerdì 20 luglio 2012

Donne in carriera. Non in Italia ovviamente.

Mentre nel nostro Paese la percentuale delle donne presenti sul mercato è la più bassa d'Europa, in America una donna diventa CEO (amministratore delegato) di una delle più importanti internet company, ossia Yahoo. La donna in questione è Marissa Mayer, bionda (oggettivamente figa ci aggiungo io), passato da ballerina classica e con una grandissima esperienza alle spalle: è laureata con lode in Scienze Informatiche alla Stanford University (sono andata a dare un'occhiata e pare che alcuni studenti di questa università abbiano fondato poi compagnie come Google o la stessa Yahoo, e che alle ultime Olimpiadi di Pechino gli studenti che hanno partecipato hanno vinto ben 25 medaglie) con una specializzazione in Intelligenza artificiale e con il dottorato honoris causa assegnatole per la sua ricerca sul campo; lavorativamente parlando invece, ha lavorato per 13 anni in Google, prima neolaureata assunta con il titolo di ingegnere, fino a diventarne vice presidente. Fa parte dei seguenti consigli d'amministrazione: S. Francisco Museum of Modern Art, S. Francisco Ballet, New York City Ballet, Cooper- Hewitt,National Design Museum e Walmart. E tutto questo a soli 37 anni. E nel 2008, a 33 anni,è stata inserita da Forbes nella lista delle America's 50 Most Powerful Women in Business, risultandone come la più giovane manager mai apparsa nella classifica, e dalla lista non si è in effetti più mossa.
La cosa più bella e che segna la nettissima differenza e distanza con il nostro Paese, è che mentre i media annunciavano la nuova carica di CEO della Mayer, lei, tramite il suo twitter, annunciava al mondo di essere in dolce attesa.
Bella, giovane,incinta e in carrierissima. In America  (e diciamocelo, praticamente in tutto il resto del mondo industrializzato) l'ascesa al ''potere'' di questa bella bionda appare semplicemente come il giusto coronamento e riconoscimento di una carriera scoppiettante e anche di un duro lavoro e di tanto impegno; da noi, in Italia appare come la trama di un film che (ovviamente) nemmeno in quel caso si svolgerebbe nel nostro Paese. Secondo una ricerca di Cerved group riguardante la presenza e il ruolo delle donne nei consigli d'amministrazione delle società di capitale di maggiore dimensione (ossia quelle che nell'ultimo bilancio hanno superato o raggiunto 10 milioni di euro) è risultato che in Italia su 100 imprese 71 non hanno nemmeno una donna nel loro CdA, 29 hanno una sola presenza femminile (e di minoranza) e solo una società ha un numero pari di uomini e donne. E quelle che fanno parte dei CdA non hanno meno di 45 anni.
Ma perchè tutta questa differenza?
Semplicemente perchè l'Italia è la prima in classifica (Eurostat) per quanto riguarda il tempo dedicato al lavoro domestico. E questo ci spiega praticamente tutto: una delle (se non la) principali cause del mancato ingresso del lavoro ( o del proseguimento di carriera) è la mancanza di supporto all'attività domestica, che causa un sempre maggiore ricorso al part time.
Da noi è stata da poco approvata la riforma del lavoro voluta dal ministro Elsa Fornero: uno dei punti principali è la conciliazione tra lavoro e famiglia, introducendo sia iniziative specifiche per le madri lavoratrici che il congedo di paternità obbligatorio. Congedo che però dimostra un'altra netta differenza con il resto dei Paesi industrializzati: nei Paesi scandinavi il congedo di paternità raggiunge le due settimane, da noi solo tre giorni. 
E sappiamo benissimo che un uomo alle prese con un bambino, nella maggior parte dei casi, in tre giorni fa solo più danni*.


In Italia insomma, il tempo  per la donna si è fermato e a ben guardare, alla maggior parte delle persone va bene cosi: l'immagine di donne manager rimane ancora un miraggio, uno scenario da film televisivo o meglio ancora cinematografico (cosi la distanza con la realtà aumenta ancora di più). Da noi la donna è ancora e soprattutto mamma, sforna figli, sforna torte, sforna camice pulite e stirate per compagni e mariti che vanno a occupare posti manageriali che noi ci possiamo sognare.
Il divario con (gli altri) i Paesi industrializzati si fa sempre più netto e difficile da colmare. Basti solo pensare al numero di neolaureati (in questo caso prendiamo in considerazione solo le donne) che scelgono l'estero per proseguire sia la loro formazione, sia per iniziare un percorso lavorativo che darà loro più soddisfazione, e le porterà più in alto, di quanto non possa fare il rimanere in Italia.






*: frecciatina sessista, concedetemela.


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